Whatever it takes

Esattamente dieci anni fa, il 26 luglio 2012, dopo nemmeno un anno dal suo insediamento a capo della BCE, Mario Draghi pronunciò il famoso discorso Whatever it takes, la cui portata rimane ancora oggi epocale.

Proprio lo scorso anno in questi giorni, l’ormai ex Presidente del Consiglio introduceva una delle misure più criticate del suo governo, il Green Pass obbligatorio, confermando ancora lo stile deciso e fermo della sua linea d’intervento in situazioni di emergenza.

Ecco un articolo, un podcast e le attività didattiche da scaricare per analizzare quel periodo storico e il famoso discorso, ormai citato anche dalla più importante enciclopedia italiana.

Whatever it takes, costi quel che costi

Tra le poche riunioni interessanti a cui ho assistito nei miei anni di lavoro in banca ne ricordo una in cui intervenne il capo del settore mercati finanziari.

In occasione di quell’incontro ci illustrò con molto entusiasmo quelle che sarebbero state le conseguenze della decisione del Presidente della Banca Centrale Europea di intervenire nella politica monetaria dell’Unione Europea con delle vere e proprie iniezioni di liquidità all’interno del sistema.

Costi quel che costi

Nell’estate del 2012, il 26 luglio, dopo nemmeno un anno dal suo insediamento a capo della BCE, Mario Draghi pronunciò il famoso discorso Whatever it takes, la cui portata epocale è descritta perfettamente nella versione digitale dell’enciclopedia Treccani:

Il «Whatever it takes» apre nella politica europea un altro orizzonte che non aveva precedenti. È il 26 luglio del 2012. L’Europa dell’euro è in grande difficoltà. Sale lo spread in molti Paesi. In Grecia tornano a soffiare pesanti venti di crisi. L’euroscetticismo inglese si gonfia. Quel 26 di luglio, Draghi, da meno di un anno Presidente della Banca centrale europea, sale sul palco della conferenza di Londra e, senza troppi preamboli, dopo una manciata di minuti di introduzione, pronuncia la frase che cambia la storia della crisi: «Entro il nostro mandato la Bce preserverà l’euro, costi quel che costi. E, credetemi, sarà abbastanza». 

Per sostenere l’Euro e l’Eurozona, la BCE di Mario Draghi acquistò i titoli di debito pubblici dei paesi membri dell’Unione, garantendo così la stabilità del sistema economico, mantenendo lo spread con il Bund tedesco a livelli accettabili, e immettendo liquidità sui mercati. 

Si trattava di una manovra che prima di allora era stata utilizzata durante il periodo bellico da Stati Uniti, Germania, e Italia che emettevano titoli di stato che l’industria militare comprava per finanziare l’acquisto delle armi da parte dei governi.

Si trattava anche di una manovra che andava fuori dal perimetro del mandato della BCE, il cui obiettivo esplicito è quello di controllare i prezzi e mantenere un livello dell’inflazione vicino ma non oltre il 2%. 

Una pioggia di liquidità

Il Quantitative easing, espressione inglese che significa allentamento quantitativo, fece arrivare sui mercati tanta liquidità.

Ed era esattamente questo che rendeva così entusiasta il mio collega, che ne aveva previsto l’effetto sui mercati azionari.

Favoriti dall’abbassamento dei rendimenti sui titoli obbligazionari che per via del Quantitative easing costavano di più,  con tutta quella nuova liquidità i mercati azionari iniziarono una risalita verso rendimenti che raggiunsero presto le due cifre.

I miei clienti erano tutti soddisfatti di quello che stava succedendo nei loro portafogli, convinti che fosse una semplice congiuntura favorevole, o addirittura una mia particolare abilità.

Il QE, che sarebbe dovuto durare fino al 2016, fu esteso a più riprese, fino a concludersi il 31 dicembre del 2018.

In quegli anni, avevo già lasciato la banca e il mio lavoro di consulente finanziario, e facevo tutt’altro mestiere, non ho mai smesso di pensare a cosa sarebbe successo con la fine del quantitative easing. 

E a dirla tutta, me lo sto ancora chiedendo.

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