La lingua di Tangentopoli: il dipietrese

La parola Tangentopoli nasce da “tangente” e “-poli“. Nel linguaggio giornalistico è il nome che indica la città (-poli) di Milano e quella parte del suo mondo politico e imprenditoriale che funzionava grazie al sistema delle tangenti e della corruzione.

Da Tangentopoli sono deriva Concorsopoli, Vallettopoli, Calciopoli, Bancopoli, proprio per indicare gli scandali avvenuti nel mondo dei concorsi pubblici, della televisione, del calcio, degli istituti di credito (ne ho parlato qui).

Il Dipietrese

Ma la vera rivoluzione linguistica (oltre che politica) l’ha fatta il Magistrato Antonio Di Pietro, che nel suo ruolo di pubblica accusa ha usato un linguaggio talmente singolare che addirittura l’enciclopedia Treccani l’ha ribattezzato e consacrato come dipietrese.

Il dipietrese è un linguaggio semplice che ha la caratteristica di non essere molto acculturato però si fa capire.

(Antonio Di Pietro)

Il dipietrese è caratterizzato da un lessico e da un registro coloriti e popolari, con uno stile comunicativo senza i tecnicismi tipici del linguaggio specialistico (in questo caso giudiziario). Inoltre, è anche infarcito di espressioni ricorrenti, detti proverbiali, esclamazioni.

Ecco qualche esempio:

  • «fuggitore di notizie» (autore delle fughe di notizie);
  • «benedettiddio!» o «Santa Madonna!», due esclamazioni;
  • «che c’azzecca?» («cosa c’entra?»)
  • «Non ho capito!», «Scusi, non ho capito!» (a testimoni o imputati, per sottolineare che le cose che hanno detto sono contraddittorie)
  • «O è zuppa, o è pan bagnato» (un proverbio che significa che anche se una cosa è presentata in modo diverso, la sostanza è la stessa).

Forte della sua estrazione popolare e del fatto di non appartenere agli ambienti colti, Antonio Di Pietro è riuscito attraverso il dipietrese a creare una forma innovativa di comunicazione pubblica.

Eppure alcuni linguisti non sono stati d’accordo nel riconoscerne il carattere moderno. Sostengono, infatti che il dipietrese resti legato al tecnicismo del linguaggio giudiziario e all’ambiguità della comunicazione pubblica.

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