Il caffè avvelenato di Michele Sindona

Banchiere, faccendiere, e criminale: ascesa e caduta di Michele Sindona, dalla consacrazione a mago della finanza internazionale, fino alla morte in carcere per un caffè avvelenato.

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Sul fallimento della Franklin Bank indagò anche l’FBI e il Senato degli Stati Uniti istituì una commissione d’inchiesta che scoprì che nel 1974 Michele Sindona aveva trasferito 2 miliardi di lire alla DC (Democrazia Cristiana) con libretti al portatore.

Sembra che con quelle operazioni siano transitati parecchi milioni di lire attraverso la CIA (l’intelligence statunitense), la stessa Franklin Bank, e il SID (i servizi segreti italiani).

I soldi sarebbero serviti per finanziare la campagna elettorale di 21 politici italiani.

I rapporti di Michele Sindona con la P2

La loggia massonica Propaganda Due (P2) è stata un’associazione segreta nata durante la Guerra Fredda in chiave anti-comunista. Gestita da Licio Gelli, si conoscono i nomi di 972 iscritti. Ha raccolto politici, giornalisti, uomini d’affari, delle Forze Armate, e dei servizi segreti con l’obiettivo di realizzare il “Piano di rinascita nazionale”: un programma di trasformazione autoritaria dello stato.

Il Divo, Paolo Sorrentino, 2008 (titoli di testa)

Al salvataggio della Banca Privata Finanziaria di Michele Sindona erano interessati sia Licio Gelli, capo dell’organizzazione criminale P2, che il divo Giulio Andreotti, che aveva interessato due parlamentari affiliati alla loggia.

La Banca d’Italia ostacolò fortemente il salvataggio della banca, così Michele Sindona si rivolse al banchiere Roberto Calvi.

I due si erano conosciuti alla fine degli anni Sessanta, quando Sindona aveva aiutato Calvi a costituire delle società off shore.

Inoltre, qualche anno dopo, Sindona aveva presentato Calvi a Gelli e lo aveva introdotto nella P2.

Di fronte al rifiuto di Calvi di aiutarlo a ripianare i debiti della Banca Privata, Sindona una notte si vendicò attaccando per tutta Milano dei manifesti che riportavano le operazioni irregolari del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi.

Il carcere e la morte

Dopo l’arresto in una cabina telefonica di Manhattan nel 1980, seguì la condanna a 25 anni di carcere per frode, spergiuro, appropriazione indebita di fondi bancari.

Mentre si trovava nelle prigioni federali statunitensi, il governo italiano presentò domanda di estradizione perché Sindona potesse presenziare al processo per l’omicidio di Giorgio Ambrosoli.

Sindona rientrò in Italia, dove ricevette la condanna a 12 anni per frode, per il fallimento della Banca Privata Finanziaria, e l’ergastolo per essere stato il mandante dell’omicidio Ambrosoli.

Qualche giorno dopo la condanna all’ergastolo, Michele Sindona bevve un caffè al cianuro di potassio e morì due giorni dopo.

Sebbene ufficialmente si trattò di suicidio, la sua morte fu probabilmente un tentativo di auto-avvelenamento, al fine di ottenere l’estradizione negli Stati Uniti, dove si sarebbe sentito al sicuro.

Tra le ipotesi c’è anche quella che qualcuno avrebbe voluto toglierlo di mezzo, e lo abbia manipolato fornendogli il veleno per fargli simulare un suicidio, e facendogli credere che una bustina di cianuro gli avrebbe causato un semplice malore.

Qualcuno che aveva paura che Michele Sindona, ormai senza più niente da perdere, avesse potuto svelare i segreti della vita politica italiana, ammanicata con Cosa Nostra, i servizi segreti.

E chissà quanto altro.

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